#: locale=it ## Action ### URL PopupWebFrameBehaviour_050A4987_0BB7_AFF3_4190_1F4B00987529.url = https://sketchfab.com/models/644cec6bb5d34ceca92c2c483bb6f150/embed ## Hotspot ### Tooltip HotspotPanoramaOverlayArea_04F8C9D3_0BB6_AF13_4179_DF72883821ED.toolTip = 3D ## Media ### Subtitle panorama_D4FDFBB4_CA5F_09B9_41E4_6B59751C904A.subtitle = Fin dalla fondazione della città i prenestini hanno seppellito i propri morti preferibilmente nell’ampia area a sud della via che oggi porta a Cave, nella località denominata Colombella. \ Altre necropoli sono state scoperte nel corso dei secoli lungo la Prenestina antica per Roma, in località La Selciata; poco fuori Porta del Sole, e – in forma di sepolture più o meno isolate – nei dintorni della città. \ I reperti più antichi della necropoli della Colombella risalgono agli ultimi decenni dell’VIII sec. a.C.: due tombe, una maschile, con armi (t. 158), e l’altra femminile, con oggetti di ornamento (t. 159), costituiscono una preziosa testimonianza della fase in cui i piccoli abitati sparsi della zona si uniscono facendo nascere un nucleo abitato unitario e organizzato, la città. \ Nel secolo successivo, nella fase detta “orientalizzante”, la necropoli di Palestrina ha restituito le più ricche e straordinarie tombe principesche dell’Italia centrale, da attribuire a capi aristocratici, con corredi composti da innumerevoli oggetti preziosi, oggi conservati in vari musei di Roma e all’estero. \ Al V sec. a.C. si data una importante tomba di un guerriero (t. 160), in cui va riconosciuto sicuramente un cavaliere, come indica la presenza della grande spada di ferro con lama ricurva. La presenza nel corredo dello strigile e del vaso di alabastro per unguenti segnala come le attività ginniche e la cura del corpo rappresentassero per il defunto aspetti importanti tanto quanto le capacità belliche. \ Dal IV sec. a.C. i corredi delle tombe diventano più ricchi sia per la quantità che per la qualità degli oggetti deposti, che testimoniano sia la notevole floridezza della città e l’esistenza di classi sociali agiate, sia una vivace attività artigianale locale. A questo periodo risalgono le ciste più belle, decorate ad incisione con scene tratte dal mito, e gli specchi più fini, pure istoriati con figure mitologiche. \ Questi oggetti di bronzo erano prodotti in officine locali specializzate da artigiani dei quali spesso conosciamo anche i nomi, grazie alle firme che apponevano sui lavori migliori o ai bolli di fabbrica che accompagnano gli oggetti meno pregevoli dal punto di vista artistico come gli strigili. \ Il prodotto più rappresentativo delle officine prenestine era la cista: si tratta di un contenitore per gli oggetti da toeletta (pennellini, spatole, colori per il trucco, pettini, fermacapelli etc.) che spesso le madri regalavano per le nozze alle figlie che lasciavano la famiglia d’origine. \ I corredi delle tombe femminili di questo periodo erano talora completati da cofanetti ricoperti da lastrine di osso, pettini, scatolette di legno per il trucco. panorama_D4FDB84C_CA5F_16E9_41E1_73DC0EF5C80F.subtitle = Fin dalla fondazione della città i prenestini hanno seppellito i propri morti preferibilmente nell’ampia area a sud della via che oggi porta a Cave, nella località denominata Colombella. \ Altre necropoli sono state scoperte nel corso dei secoli lungo la Prenestina antica per Roma, in località La Selciata; poco fuori Porta del Sole, e – in forma di sepolture più o meno isolate – nei dintorni della città. \ I reperti più antichi della necropoli della Colombella risalgono agli ultimi decenni dell’VIII sec. a.C.: due tombe, una maschile, con armi (t. 158), e l’altra femminile, con oggetti di ornamento (t. 159), costituiscono una preziosa testimonianza della fase in cui i piccoli abitati sparsi della zona si uniscono facendo nascere un nucleo abitato unitario e organizzato, la città. \ Nel secolo successivo, nella fase detta “orientalizzante”, la necropoli di Palestrina ha restituito le più ricche e straordinarie tombe principesche dell’Italia centrale, da attribuire a capi aristocratici, con corredi composti da innumerevoli oggetti preziosi, oggi conservati in vari musei di Roma e all’estero. \ Al V sec. a.C. si data una importante tomba di un guerriero (t. 160), in cui va riconosciuto sicuramente un cavaliere, come indica la presenza della grande spada di ferro con lama ricurva. La presenza nel corredo dello strigile e del vaso di alabastro per unguenti segnala come le attività ginniche e la cura del corpo rappresentassero per il defunto aspetti importanti tanto quanto le capacità belliche. \ Dal IV sec. a.C. i corredi delle tombe diventano più ricchi sia per la quantità che per la qualità degli oggetti deposti, che testimoniano sia la notevole floridezza della città e l’esistenza di classi sociali agiate, sia una vivace attività artigianale locale. A questo periodo risalgono le ciste più belle, decorate ad incisione con scene tratte dal mito, e gli specchi più fini, pure istoriati con figure mitologiche. \ Questi oggetti di bronzo erano prodotti in officine locali specializzate da artigiani dei quali spesso conosciamo anche i nomi, grazie alle firme che apponevano sui lavori migliori o ai bolli di fabbrica che accompagnano gli oggetti meno pregevoli dal punto di vista artistico come gli strigili. \ Il prodotto più rappresentativo delle officine prenestine era la cista: si tratta di un contenitore per gli oggetti da toeletta (pennellini, spatole, colori per il trucco, pettini, fermacapelli etc.) che spesso le madri regalavano per le nozze alle figlie che lasciavano la famiglia d’origine. \ I corredi delle tombe femminili di questo periodo erano talora completati da cofanetti ricoperti da lastrine di osso, pettini, scatolette di legno per il trucco. panorama_D4FDEF64_CA5F_0AD9_41CF_83F1C22FDE21.subtitle = Fin dalla fondazione della città i prenestini hanno seppellito i propri morti preferibilmente nell’ampia area a sud della via che oggi porta a Cave, nella località denominata Colombella. \ Altre necropoli sono state scoperte nel corso dei secoli lungo la Prenestina antica per Roma, in località La Selciata; poco fuori Porta del Sole, e – in forma di sepolture più o meno isolate – nei dintorni della città. \ I reperti più antichi della necropoli della Colombella risalgono agli ultimi decenni dell’VIII sec. a.C.: due tombe, una maschile, con armi (t. 158), e l’altra femminile, con oggetti di ornamento (t. 159), costituiscono una preziosa testimonianza della fase in cui i piccoli abitati sparsi della zona si uniscono facendo nascere un nucleo abitato unitario e organizzato, la città. \ Nel secolo successivo, nella fase detta “orientalizzante”, la necropoli di Palestrina ha restituito le più ricche e straordinarie tombe principesche dell’Italia centrale, da attribuire a capi aristocratici, con corredi composti da innumerevoli oggetti preziosi, oggi conservati in vari musei di Roma e all’estero. \ Al V sec. a.C. si data una importante tomba di un guerriero (t. 160), in cui va riconosciuto sicuramente un cavaliere, come indica la presenza della grande spada di ferro con lama ricurva. La presenza nel corredo dello strigile e del vaso di alabastro per unguenti segnala come le attività ginniche e la cura del corpo rappresentassero per il defunto aspetti importanti tanto quanto le capacità belliche. \ Dal IV sec. a.C. i corredi delle tombe diventano più ricchi sia per la quantità che per la qualità degli oggetti deposti, che testimoniano sia la notevole floridezza della città e l’esistenza di classi sociali agiate, sia una vivace attività artigianale locale. A questo periodo risalgono le ciste più belle, decorate ad incisione con scene tratte dal mito, e gli specchi più fini, pure istoriati con figure mitologiche. \ Questi oggetti di bronzo erano prodotti in officine locali specializzate da artigiani dei quali spesso conosciamo anche i nomi, grazie alle firme che apponevano sui lavori migliori o ai bolli di fabbrica che accompagnano gli oggetti meno pregevoli dal punto di vista artistico come gli strigili. \ Il prodotto più rappresentativo delle officine prenestine era la cista: si tratta di un contenitore per gli oggetti da toeletta (pennellini, spatole, colori per il trucco, pettini, fermacapelli etc.) che spesso le madri regalavano per le nozze alle figlie che lasciavano la famiglia d’origine. \ I corredi delle tombe femminili di questo periodo erano talora completati da cofanetti ricoperti da lastrine di osso, pettini, scatolette di legno per il trucco. panorama_C2D819CA_C9C5_09E8_41E3_41EF58C117A4.subtitle = Gli altri culti
 \ Accanto al culto principale di Fortuna Primigenia, a Palestrina sono documentati anche diversi altri culti, come attestano iscrizioni e sculture. \ Una base in calcare della prima metà del II sec. a.C., testimonia il culto di Iuno Palostcaria, una Giunone, connotata da un oscuro appellativo che forse la connette ad una palude e dunque agli Inferi, probabilmente collegata alla religiosità delle classi servili. \ Una lastra di calcare conserva invece una dedica a Giove Ottimo Massimo: la decorazione a fregio dorico indica che doveva in origine costituire il rivestimento di un donario o un altare. \ I reperti archeologici esposti testimoniano la diffusione a Praeneste anche di culti orientali: una statuetta di piccole dimensioni raffigura Cibele, la dea venerata in Asia Minore, seduta in trono e affiancata da due leoni, e nella vetrina è esposta una piccola statua del dio solare Mitra, originario della Persia, raffigurato secondo l’iconografia più diffusa tra il II e il III sec. d.C.: la divinità, in costume orientale, conficca un pugnale nel fianco di un toro, mentre uno scorpione morde l’animale e un serpente striscia verso la ferita assaltato da un cane. panorama_C2DE247B_C9C5_FEAF_41B0_92C198EB5B91.subtitle = I documenti epigrafici
 \ Le numerose iscrizioni che ci sono state restituite dal territorio prenestino offrono preziosi elementi per ricostruire tutti gli aspetti della vita e la storia della città, dalle magistrature alla costruzione di edifici pubblici, dalle attività professionali al culto dei morti e alla religione. \ La maggior parte delle dediche esposte sul supporto centrale della sala è alla dea Fortuna, che rivestiva un ruolo primario nella religiosità della città. Di particolare interesse sono le iscrizioni su basi di calcare, databili nel II-I sec. a.C., che menzionano le offerte alla dea fatte dai collegi professionali, perché ci informano sulla intensa attività produttiva ed artigianale della città, gran parte della quale era connessa al santuario ed alle esigenze dei pellegrini che giungevano numerosi a Praeneste . Le dediche documentano l’esistenza di banchieri, fabbri, tagliatori di legno o pietra, portatori di lettighe, macellai, tintori, suonatori di flauto, ecc. \ Al II sec. a.C. risale la lastra che ricorda la costruzione di una cucina, forse per banchetti sacri mentre dell’età sillana è l’epigrafe relativa al restauro di un edificio termale. \ Nella sala sono esposte anche alcune iscrizioni funerarie. \ Sull’altare funerario di P. Aelius Curtianus, databile al II sec. d.C., sono rappresentati gli strumenti chirurgici connessi alla sua professione di medico. panorama_C2DE0718_C9C5_1A68_41C4_670C8CA2A6E2.subtitle = I documenti epigrafici
 \ Le numerose iscrizioni che ci sono state restituite dal territorio prenestino offrono preziosi elementi per ricostruire tutti gli aspetti della vita e la storia della città, dalle magistrature alla costruzione di edifici pubblici, dalle attività professionali al culto dei morti e alla religione. \ La maggior parte delle dediche esposte sul supporto centrale della sala è alla dea Fortuna, che rivestiva un ruolo primario nella religiosità della città. Di particolare interesse sono le iscrizioni su basi di calcare, databili nel II-I sec. a.C., che menzionano le offerte alla dea fatte dai collegi professionali, perché ci informano sulla intensa attività produttiva ed artigianale della città, gran parte della quale era connessa al santuario ed alle esigenze dei pellegrini che giungevano numerosi a Praeneste . Le dediche documentano l’esistenza di banchieri, fabbri, tagliatori di legno o pietra, portatori di lettighe, macellai, tintori, suonatori di flauto, ecc. \ Al II sec. a.C. risale la lastra che ricorda la costruzione di una cucina, forse per banchetti sacri mentre dell’età sillana è l’epigrafe relativa al restauro di un edificio termale. \ Nella sala sono esposte anche alcune iscrizioni funerarie. \ Sull’altare funerario di P. Aelius Curtianus, databile al II sec. d.C., sono rappresentati gli strumenti chirurgici connessi alla sua professione di medico. panorama_C2DE4182_C9C5_1659_41D8_FF985F53E16B.subtitle = I ritratti e le statue onorarie
 \ Nell’antica Praeneste sono stati rinvenuti nel tempo molti pregevoli esempi di teste-ritratto di epoca tardo-repubblicana, alcuni esposti in questa sala, altri visibili al Museo di Palazzo Massimo a Roma, che provano l’esistenza di una officina locale molto attiva e prolifica. I ritratti prenestini mostrano un forte richiamo ai contemporanei ritratti di area greco-orientale, in particolare di Delo, e questo aspetto sottolinea ancora una volta lo stretto rapporto della città con tale ambito culturale e artistico. \ In età repubblicana, e poi per tutto il periodo imperiale, la statua onoraria celebrativa tipica era la figura togata: la toga, infatti, qualificava il personaggio come cittadino romano caratterizzato da dignità e sobrietà. Nella sala è esposta una statua togata acefala, proveniente dal santuario di Fortuna, che si può datare nel primo quarto del II sec. d.C. \ Molto frequente era anche l’uso di raffigurare i personaggi unendo la testa ritratto ad un corpo “ideale” e più generico, che quasi sempre era una rielaborazione di tipi statuari greci. Nel mondo ellenistico, infatti, la statua onoraria celebrava le virtù e le qualità sovrumane di un personaggio che dunque era raffigurato come eroe o persino divinità: ne è un esempio la statua maschile al centro della sala che rappresenta un uomo vigoroso coperto solo da un mantello, in modo da esaltare la nudità “eroica”, modello adottato per celebrare i meriti militari dei personaggi raffigurati. \ Lungo la parete sinistra della sala sono esposte alcune basi marmoree di statue onorarie, con iscrizioni che ricordano eminenti cittadini di Praeneste. \ Altre basi di età imperiale sono preziose testimonianze degli spettacoli di gladiatori che dovevano svolgersi a Praeneste in età imperiale e dunque dell’esistenza di un anfiteatro, che però ad oggi non è stato ancora riportato in luce. panorama_C2DFF276_C9C5_3AB8_41BA_C91D85F4D20E.subtitle = I ritratti e le statue onorarie
 \ Nell’antica Praeneste sono stati rinvenuti nel tempo molti pregevoli esempi di teste-ritratto di epoca tardo-repubblicana, alcuni esposti in questa sala, altri visibili al Museo di Palazzo Massimo a Roma, che provano l’esistenza di una officina locale molto attiva e prolifica. I ritratti prenestini mostrano un forte richiamo ai contemporanei ritratti di area greco-orientale, in particolare di Delo, e questo aspetto sottolinea ancora una volta lo stretto rapporto della città con tale ambito culturale e artistico. \ In età repubblicana, e poi per tutto il periodo imperiale, la statua onoraria celebrativa tipica era la figura togata: la toga, infatti, qualificava il personaggio come cittadino romano caratterizzato da dignità e sobrietà. Nella sala è esposta una statua togata acefala, proveniente dal santuario di Fortuna, che si può datare nel primo quarto del II sec. d.C. \ Molto frequente era anche l’uso di raffigurare i personaggi unendo la testa ritratto ad un corpo “ideale” e più generico, che quasi sempre era una rielaborazione di tipi statuari greci. Nel mondo ellenistico, infatti, la statua onoraria celebrava le virtù e le qualità sovrumane di un personaggio che dunque era raffigurato come eroe o persino divinità: ne è un esempio la statua maschile al centro della sala che rappresenta un uomo vigoroso coperto solo da un mantello, in modo da esaltare la nudità “eroica”, modello adottato per celebrare i meriti militari dei personaggi raffigurati. \ Lungo la parete sinistra della sala sono esposte alcune basi marmoree di statue onorarie, con iscrizioni che ricordano eminenti cittadini di Praeneste. \ Altre basi di età imperiale sono preziose testimonianze degli spettacoli di gladiatori che dovevano svolgersi a Praeneste in età imperiale e dunque dell’esistenza di un anfiteatro, che però ad oggi non è stato ancora riportato in luce. panorama_C2DFF32D_C9C4_FAAB_414F_D47441FCF69C.subtitle = Il culto di Fortuna. 

Il culto era originariamente legato alla fecondità, ma già in tempi molto antichi Fortuna si presenta anche come divinità vaticinante. La duplicità del culto della dea si rispecchia nella duplicità dei poli religiosi del santuario Prenestino, vicino al pozzo delle sortes e in alto nella tholos, e si può vedere anche nella doppia figurazione di fortuna rappresentata nel piccolo gruppo scultoreo con le due immagini su ferculum, ovvero su una lettiga qui esposta. 
 \ Ma ciò che cattura lo sguardo in questa sala è soprattutto la statua colossale di Iside-Fortuna in marmo nero dell’isola di Rodi, in Grecia, alla fine del II sec. a.C. A seguito degli intensi contatti culturali e commerciali di Praeneste con l’Oriente mediterraneo, Fortuna venne precocemente assimilata alla dea egizia, anch’essa contraddistinta da un carattere primigenio e materno. La statua, mancante delle braccia e della testa, probabilmente eseguite a parte in marmo bianco, è riconducibile all’ambiente artistico dell’isola di Rodi, che in età ellenistica produsse grandi capolavori di scultura, come la celebre Nike di Samotracia (oggi al Museo del Louvre).
 \ Un'altra opera importantissima è la testa marmorea di Fortuna, la protagonista del santuario e la padrona di casa di questo museo. Questo volto venne ritrovato all'interno del pozzo negli scavi che vennero intrapresi nel santuario dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale e rappresenta molto probabilmente la testa della statua di Fortuna che vide Cicerone. La testa, realizzata in marmo greco e con tutta probabilità velata, è un notevole esempio di scultura classicistica del tardo ellenismo, databile alla fine del II secolo a.C. panorama_D4FD4C22_CA5F_0E59_41E4_941D3E5EE696.subtitle = Il mosaico del Nilo
 \ Il grandioso mosaico policromo del Nilo fu realizzato a Praeneste alla fine del II sec. a.C. da artisti provenienti da Alessandria d’Egitto e costituiva in origine il pavimento dell’abside di fondo di un edificio pubblico, la cosiddetta Aula Absidata, che si affacciava sul Foro della città. \ Scoperto all’inizio del ‘600, fu staccato, sezionato e portato a Roma, per essere poi trasferito, intorno al 1640, nel palazzo Barberini a Palestrina. Nuovamente staccato durante la Seconda guerra mondiale per salvaguardarlo dai rischi dei bombardamenti, venne in seguito restaurato e collocato nella sua sistemazione attuale. \ Si tratta di uno dei più grandi e importanti mosaici ellenistici conosciuti, la cui finezza di esecuzione e ricchezza cromatica sono ancora apprezzabili nonostante i notevoli restauri e le vicissitudini dell’opera. \ Il mosaico costituisce una sorta di grande carta geografica dell’Egitto in veduta prospettica, in cui è raffigurato il percorso del Nilo durante il periodo di inondazione, dalle sorgenti ai confini con l’Etiopia (in alto) fino alla costa mediterranea (in basso). \ La parte alta raffigura l’antica Nubia, caratterizzata da un paesaggio roccioso animato da pigmei cacciatori e da una grande varietà di animali, con i nomi scritti in greco. Si tratta di bestie sia reali che fantastiche, le cui figurazioni, derivate probabilmente da trattati di zoologia o bestiari, costituiscono la più antica rappresentazione di animali africani noti in Europa. \ Nella parte centrale sono rappresentati una serie di grandi edifici monumentali. In particolare, in una costruzione circolare, a forma di pozzo, è possibile riconoscere il “nilometro” di Elefantina, che serviva per verificare l’inizio del periodo di inondazione. \ Al di sotto, da una grande barca a remi, si svolge una caccia all’ippopotamo; la sezione seguente, raffigurante un banchetto  sotto un pergolato, è una copia seicentesca dell’originale oggi esposto a Berlino. \ Nell’angolo a destra in basso si può riconoscere Alessandria d’Egitto, la città fondata da Alessandro Magno che divenne la capitale culturale del mondo greco-orientale fra III e II sec. a.C. Il grande edificio circondato da mura che si affaccia sul porto è forse da identificare proprio con il palazzo dei Tolomei, sovrani dell’Egitto dopo la morte di Alessandro. Nel grande porto di Alessandria entra una nave da guerra guidata da un condottiero dalle dimensioni gigantesche che sottolineano la sua eccezionale importanza. In questo personaggio va probabilmente riconosciuto un sovrano divinizzato, forse Tolomeo I. Di fronte al porto è raffigurata l’isola di Faro, occupata, come raccontano le fonti, da povere abitazioni di pescatori e agricoltori. \ Questa grande composizione potrebbe derivare da un originale pittorico ed andrebbe interpretata come un’allegoria dell’Egitto sotto il dominio dei Tolomei. panorama_D4FAD38B_CA5F_1A68_41E7_6F1B9901E023.subtitle = In questo lato della Sala potete ammirare la mostra "La dama degli zaffiri e altri ori"
 \ La mostra, inaugurata il 6 dicembre 2014 nella Sala Mostre del Museo, espone straordinari gioielli e oggetti di ornamento di età imperiale, rinvenuti durante indagini di scavo recenti o recuperati grazie alla preziosa attività di repressione del commercio clandestino della Guardia di Finanza. \ Un reperto di straordinaria importanza è un diadema in oro e zaffiri trovato in una tomba femminile della necropoli di San Quintino a Colonna (RM) databile nel II-III sec. d.C. La defunta, di circa 40 anni, era stata sepolta in un sarcofago di marmo con un manto in seta o lino ricamato d’oro ed il diadema sul capo. \ L’analisi delle gemme ha accertato che gli zaffiri provengono dal sud-est asiatico e probabilmente anche la realizzazione del gioiello può essere riferita a laboratori del Vicino Oriente. Lo sfarzo della veste e degli ornamenti suggeriscono che la tomba appartenesse a una “dama” dell’aristocrazia romana, forse di provenienza orientale. \ Sono esposti inoltre alcuni corredi, databili anch’essi nel II-III sec. d.C., trovati nella necropoli di Colle Noce a San Cesareo (RM) relativa a un abitato situato lungo l’antica via Labicana noto con il nome di Ad Statuas. Si tratta di anelli, orecchini e una collana d’oro che sorprendono per il loro valore intrinseco e il livello qualitativo e che indicano una certa stratificazione sociale all’interno di questa piccola comunità. \ A questi reperti si aggiunge lo straordinario anello in oro e cristallo di rocca, noto come anello di Carvilio, trovato nel 2002 a Grottaferrata (RM). Si tratta di un vero unicum. panorama_C2DE035A_C9C5_1AE8_41BD_09B93D487931.subtitle = La statuaria ellenistica

Negli ultimi decenni del II sec. a.C. una intensa attività artistica investe Praeneste. I prenestini avevano accumulato grandi fortune con il commercio nei mercati orientali che si era aperto con le conquiste di Roma. Da questo contatto privilegiato con l’Oriente deriva la profonda impronta ellenistica delle produzione artistica prenestina, particolarmente evidente nelle manifestazioni dell’architettura, della scultura e degli apparati decorativi come i mosaici. \ È questo il caso delle tre statue femminili in marmo greco rinvenute nella Piazza della Cortina, originali ellenistici della fine del II-inizi del I sec. a.C. Le statue raffigurano probabilmente ricche matrone prenestine vestite da una tunica di stoffa leggera increspata sulla quale è un pesante mantello. La foggia dell’abbigliamento richiama modelli dell’Asia Minore, forse di Pergamo. \ Un richiamo diretto ai modelli classici è evidente nelle due teste femminili velate in marmo greco, rinvenute insieme nell’area del Foro, che rappresentano opere di alta qualità, caratterizzate da tratti morbidi e armoniosi che avvicinano le sculture alla produzione di Damofonte di Messene (fine del III - inizi del II sec. a.C.) \ A queste sculture è strettamente collegato un busto appartenente ad una statua femminile seduta, rinvenuto nella zona del Foro. Si tratta di un altro originale greco riferibile anch’esso all’artista Damofonte, il quale fu autore di statue colossali realizzate in materiali diversi, nelle quali al marmo si aggiungevano l’avorio, il legno e il bronzo, e poi rifinite con stucco e colore a mascherare le giunzioni. I tagli, con numerosi fori e incassi, visibili nel busto prenestino, fanno pensare proprio ad una statua di questo genere. \ La statua femminile seduta, di dimensioni minori del vero, costituisce una copia, anche se rielaborata, di una delle nove muse raffigurate nel ciclo creato dall’artista Filisco di Rodi alla metà del II sec. a.C., che erano esposte a Roma nel tempio di Apollo Sosiano. panorama_C5F318DA_C9C5_17E9_41C9_582A43BB539B.subtitle = La storia del palazzo ha inizio nel 1050, quando la famiglia Colonna, proprietaria del feudo di Palestrina, ne avviò la costruzione sul settore più alto dei resti antichi del Santuario di Fortuna. L’edificio consisteva di una parte destinata ad abitazione e di torrioni adibiti a fortezza. \ Nel 1298 Bonifacio VIII, scontratosi con la famiglia Colonna, dopo un lungo assedio, decise la distruzione della città e del palazzo. \ Morto il papa nel 1303, i Colonna, riottenuto il feudo, ricostruirono la città e il palazzo. \ Alcune decorazioni ad affresco che decorano le pareti delle sale sono riconducibili alla personalità di Stefano IV Colonna, Signore di Palestrina dal 1539 e all’ultimo Principe di Palestrina, Francesco Colonna che, nel 1630 è costretto per dissesti finanziari a vendere il feudo a Carlo Barberini, fratello di papa Urbano VIII. \ Nel 1640 il palazzo baronale viene ristrutturato e affrescato per opera del cardinale Taddeo Barberini e, nel 1913, Luigi Barberini, cultore di antichità, decise di ospitare nel palazzo parte delle collezioni della famiglia: nasceva il Museo Prenestino Barberiniano, dove si conservava anche il famoso mosaico del Nilo. \ Dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale che arrecarono seri danni al palazzo baronale, la rimozione delle macerie consentì di rimettere in luce i grandiosi resti del santuario della Fortuna. \ Fu una impresa storica, attuata in pochi anni, dal 1945 al 1952, dall’architetto Furio Fasolo e dall’archeologo Giorgio Gullini. Da un cumulo di macerie riemergeva uno dei più imponenti monumenti dell’architettura ellenistica in Italia. \ Il Palazzo Colonna Barberini venne acquisito dallo Stato per creare un nuovo Museo Archeologico Nazionale e rendere visitabile il complesso archeologico del Santuario. \ Il Museo fu inaugurato nel 1956 alla presenza dell’allora Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, un evento che ebbe vasta risonanza anche all’estero. \ Dal 1956 sono seguite molte scoperte e le numerose e importantissime nuove acquisizioni hanno man mano ampliato il nucleo originario fino a costituire una notevole collezione che ha imposto una completa revisione del museo ed il suo totale nuovo allestimento nel 1998, ispirato ad un criterio in parte tematico, in parte cronologico, tenendo conto dei contesti di provenienza dei reperti. Esso, inoltre, è stato progettato anche nel pieno rispetto del “contenitore”, il Palazzo Colonna Barberini, mirabile esempio di un perfetto connubio architettonico fra preesistenza archeologica e progettazione rinascimentale. panorama_D4FDD2F2_CA5F_1BB8_41DA_12F4DFB4A37A.subtitle = La vita quotidiana a Praeneste \ La sala XV è dedicata alla illustrazione della vita quotidiana nella antica città di Praeneste attraverso l’esposizione di reperti che documentano sia il modo di abitare, e dunque le case con i loro arredi e le loro suppellettili, sia gli aspetti dell’economia, del lavoro, della produzione e del commercio. \ Le attività produttive sono testimoniate dalle firme incise dagli artigiani sui loro prodotti o sugli strumenti di lavoro, qualche volta dedicati come offerta votiva nei santuari, e poi anche dai bolli di fabbricazione impressi sugli oggetti realizzati nei diversi materiali, per lo più bronzo o argilla. \ Per esempio gli strigili, oggetti usati per le attività ginniche dalle donne e dagli uomini di Praeneste fra IV e I sec. a.C., portano spesso bolli impressi con parole o nomi per lo più abbreviati, talora poco comprensibili, ma che sembrano indiziare artigiani di origine osca o magno greca. \ I bolli di fabbricazione si trovano molto spesso non solo sul fondo dei vasi e delle lucerne, ma anche sui mattoni e le tegole usate per le costruzioni e sulle condutture di piombo per l’acqua. panorama_D4FD7069_CA5F_16AB_41AE_F6ED7B5D1D39.subtitle = Le sepolture erano deposte in cassoni di tufo o peperino con coperchi non decorati, a semplice lastra o, più raramente, in forma di tetto. Il corredo era deposto nello stesso sarcofago o, frequentemente, in cassette più piccole deposte accanto a questo, chiamate pilozzi. \ Un’eccezione all’uso dei sarcofagi non decorati è costituita da una tomba scavata nel 1858, dove si trovò un sarcofago con un coperchio a doppio spiovente, decorato da acroteri con testa di Medusa sui frontoni e da figure di animali e mostri mitici (grifoni) negli spazi triangolari e sui lati lunghi. Il corredo era composto da tre ciste: una, di paglia, andata distrutta e altre due, una di bronzo ovale, divisa in due scomparti, e l’altra in legno e lamina di bronzo. \ Nella sala è esposto inoltre il sarcofago di tufo a cassa liscia con coperchio a doppio spiovente della tomba 9 della necropoli della Selciata, femminile, datata al IV-III secolo a.C. \ Il corredo era composto da una cista bronzea decorata contenente uno specchio, pure in bronzo, una spatola per il trucco e un unguentario di alabastro; accanto era uno strigile in ferro (utilizzato per detergere il corpo dal sudore) ed un servizio di vasi in ceramica dipinta. \ \ panorama_C2DE2240_C9C5_7AD8_41A9_F60D9364E857.subtitle = Lungo le pareti dell’atrio di aprono una serie di nicchie dove sono sistemate varie sculture, delle quali non si conosce la provenienza precisa, fra cui due statue marmoree di Mercurio. \ A terra, sotto la scala, è collocato il piccolo altare funerario del seviro augustale L. Pompeius Hilarus, dedicato dalla moglie Annea Vitalis, risalente al II sec. d.C. \ Accanto a questo è una iscrizione funeraria, databile alla metà del I sec. d.C., che ricorda la costruzione di un sepolcro gentilizio e menziona due personaggi originari di Capitulum Hernicum, centro ernico di incerta identificazione, forse situato tra Anagni e Praeneste. Il testo dell’iscrizione è di particolare interesse perché testimonia la riforma dell’esercito attuata, secondo Svetonio, dall’imperatore Claudio (41-54 d.C.). \ Nelle nicchie della parete di destra sono esposte due maschere di marmo, una dionisiaca con grappoli e foglie di vite fra i capelli, l’altra teatrale di tipo comico. \ Nell’esedra dell’atrio, un grande plastico in scala, realizzato alla fine degli anni ’50, ricostruttivo del Santuario della Fortuna Primigenia, introduce alle monumentali strutture sacre visibili nell’area archeologica esterna e negli stessi ambienti del Museo. panorama_C2DE029D_C9C5_1A6B_41E8_7C453027DFC1.subtitle = L’età augustea
 \ Il passaggio dalla Repubblica all’Impero fu segnato nel mondo romano da profondi mutamenti politici e culturali, accompagnati anche da una radicale trasformazione del linguaggio artistico. \ L’immagine aveva anche allora un importante ruolo nella comunicazione di massa e attraverso le scelte iconografiche Augusto propagandava i contenuti del nuovo corso istituzionale: pace, prosperità e sicurezza, che dovevano sostituire le battaglie, le rivalità, le sofferenze e le incertezze delle guerre civili appena concluse. \ I rilievi della serie “Grimani”, attraverso l’immagine idillica ed il riferimento alla maternità riflettono questo clima di prosperità, che favorisce la rigenerazione della natura rigogliosa e il riprodursi della specie; l’altare dedicato al divo Augusto è decorato da cornucopie colme di frutti e spighe; i due altari dedicati alla Pace ed alla Sicurezza (divinità che rappresentano personificazioni di concetti astratti) di Augusto, testimoniano la riconoscenza dei magistrati e del popolo di Praeneste per la ritrovata stabilità, che metteva fine alle feroci lotte civili che avevano caratterizzato gli ultimi anni della Repubblica. \ Nella sala è esposta la copia dei Fasti praenestini, realizzata nel 2014 grazie al contributo della Banca di Credito Cooperativo di Palestrina con sistemi di scansione informatizzata, relativa ai mesi di gennaio, marzo, aprile e dicembre. \ I frammenti del calendario composto dal grammatico Verrio Flacco nel I sec. d. C., importante documento della riforma introdotta da Giulio Cesare che introdusse l’anno bisestile era inciso su dodici lastre di marmo alte e strette, una per mese, furono rinvenuti in tempi diversi in varie località del territorio prenestino. panorama_C2DE714F_C9C5_36E7_41E1_045F6787625F.subtitle = L’età imperiale
 \ La nascita e il consolidarsi dell’Impero determinò parallelamente un processo di unificazione del mondo romano, non solo politico-amministrativa, ma anche culturale. \ L’arte pubblica diventò un veicolo privilegiato per diffondere attraverso la comunicazione visiva valori politici ed ideologici emanati dal centro del potere, Roma, comprensibili a tutti i cittadini dell’impero grazie ad un repertorio formale ed iconografico standardizzato. \ Nella scultura trovarono largo spazio le repliche dei capolavori dell’arte greca, attraverso le quali è possibile conoscere e ricostruire gli originali perduti. Ne è un esempio la statua del satiro in riposo, databile nel I sec. d.C., che riproduce la celebre opera di Prassitele, famoso scultore greco attivo intorno alla metà del IV sec. a.C. \ Si realizzano anche prodotti che adottano un linguaggio formale profondamente diverso, come il notevole rilievo che raffigura il trionfo dell’imperatore Traiano sui Parti, celebrato dopo la sua morte avvenuta nel 117 d.C. L’opera fu fatta scolpire da uno dei generali che aveva partecipato a quell’impresa e che, essendo di origini prenestine, aveva voluto che il suo sepolcro nella città natale fosse decorato con il ricordo delle vittoriose campagne dell’imperatore. \ Nella sala sono esposti anche alcuni pregevoli ritratti databili in età imperiale, come quello famoso che ritrae una dama dalla ricca ed elaborata acconciatura a riccioli sovrapposti, che visse tra il regno dei Flavi e quello di Traiano (fine del I-inizi del II sec. d.C.). Importante documento della ritrattistica ufficiale imperiale è il ritratto di Lucio Vero, fratello adottato e co-imperatore di Marco Aurelio dal 161 al 169 d.C., attribuibile a una produzione provinciale dell’area greco-orientale dell’impero che rielabora il modello ufficiale del ritratto dell’imperatore creato a Roma. \ Un’opera di assoluto rilievo è il sarcofago di marmo, databile intorno al 140-150 d.C., recuperato dalla Guardia di Finanza nel territorio di Cave. Sulla fronte è narrato il mito di Endimione, il bellissimo pastore immerso in un sonno eterno da Giove in cambio dell’eterna giovinezza: la dea Selene, raffigurata con un crescente lunare sul capo, ne era innamorata e andava da lui ogni notte. \ Nella sala sono esposte anche due meridiane, strumenti utilizzati per la misurazione delle ore della giornata che, per questo scopo, sfruttavano la luce solare. panorama_D4FD246A_CA5F_FEA8_41B9_E3A7726F13D2.subtitle = Nella necropoli prenestine dalla metà del IV sec. a.C. la presenza delle tombe era marcata sul terreno da vati tipi di segnacoli: cippi a pigna di calcare o di tufo su capitello corinzio posti su una base, colonnine scanalate in tufo e busti femminili. \ Spesso i segnacoli erano completi di iscrizioni con il nome del defunto. Queste sono una preziosa fonte di informazioni per gli archeologi che, leggendole, possono ad esempio conoscere gran parte dei nomi delle famiglie prenestine di età medio repubblicana e ricostruirne la posizione sociale. \ I cippi iscritti finora noti ammontano a più di 300 esemplari. \ I busti femminili sono una specie di rappresentazione “abbreviata” dell’individuo: raffigurano donne velate, ornate da ricchi gioielli che sono ostentati per sottolineare la condizione benestante; non si tratta certo di ritratti individuali, ma di immagini che evocano solo il “tipo” (giovane, matura, esile, etc.) più vicino alla persona da ricordare con il segnacolo. \ Il significato simbolico della pigna è invece connesso all’anima del defunto, ed è un simbolo che si ritrova in tutta l’area etrusco laziale e che verso l’epoca tardo repubblicana si diffuse anche al nord (Aquilea) e verso sud (Pompei) dove la pigna compare come coronamento di monumenti funerari. panorama_D5216716_CA5C_FA79_41E0_F4C4E5D77EBB.subtitle = Sala della Tholos
 \ Sul fondo della sala sono visibili i resti delle strutture in opera incerta del tempio circolare che concludeva alla sommità il grandioso santuario di Fortuna, dove, con ogni probabilità, si trovava la statua di culto in bronzo della dea. \ Alle pareti sono esposti alcuni mosaici e pavimenti rinvenuti nel tempo nella città. \ Il più antico è un raro pavimento risalente ad epoca medio-repubblicana (IV-III sec. a.C.), realizzato con scaglie di calcare, piccole parti di tufo, elementi in cotto e decorato da elementi vegetali. \ Il piccolo ma interessantissimo riquadro in mosaico policromo con il Giudizio di Paride in chiave satirica è un quadretto molto particolare, è infatti uno dei primi fumetti dell’antichità con un commenta in greco: «Bella sì, per Zeus Olimpio!». \ Sulla parete opposta si può ammirare un grande mosaico in bianco e nero con grifi e cavalli marini, risalente ad età imperiale e, accanto, un pregevolissimo mosaico policromo che costituiva il pavimento di un ambiente di una ricca domus della città. Il mosaico è decorato da elementi a squame bipartite e, agli angoli, da quattro figure di mostri marini, due grifoni e due draghi, databile ai primi decenni del I sec. a.C. e riconducibile alla attività di una bottega ellenistica. \ Le vetrine della sala sono destinate a esposizioni temporanee di reperti provenienti da scavi recenti. Attualmente una delle vetrine ospita una scelta di terrecotte architettoniche trovate nell'area del foro databili tra il IV e il II sec. a.C. Nell'altra sono esposti preziosi gioielli di epoca imperiale della mostra "La dama degli zaffiri e altri ori". panorama_D4FA507C_CA5F_36A9_41B8_A4D4E9B793D0.subtitle = Santuari e luoghi di culto: \ Ercole e il suo culto a Praeneste
 \ A Praeneste Ercole era venerato come protettore delle greggi e dei commerci, oltre che come divinità protettrice della salute, essendo spesso miracolosamente guarito da ferite e malattie. Il suo santuario si trovava in un’area prossima all’ingresso orientale della città, dove arrivava a destinazione la via Prenestina, e dove le bestie da allevamento, sotto la sua protezione, stazionavano per essere vendute nei giorni di mercato. \ Gli scavi degli anni ’970 e ’980 non hanno portato al rinvenimento dell’edificio di culto, ma la sua esistenza è sicuramente deducibile dal ritrovamento di materiali architettonici in terracotta databili fra la fine del VI sec. a.C. e la tarda età repubblicana. \ In una grande fossa votiva sono stati trovati migliaia di reperti databili fin dalla fine del VI sec. a.C., ma la documentazione più imponente è però relativa alla fase medio e tardo-repubblicana (IV, III e II sec. a.C.): notevolissima è la grande varietà tipologica delle offerte che comprende teste isolate maschili e femminili, statuette di offerenti o di divinità, bambini in fasce, anatomici che rappresentano le più diverse parti del corpo, animali, statue di devoti a grandezza naturale o più ridotta. A questi oggetti si aggiungono vasi, lucerne, oggetti di ornamento personale, e infine monete. \ Le offerte testimoniano una devozione popolare intensa e multiforme, concentrata sulla richiesta di protezione della salute e della fertilità. panorama_D4FD9C8D_CA5F_0E68_41DB_86647F189A67.subtitle = Santuari e luoghi di culto: \ Il santuario della Colombella \ Un luogo sacro ad una divinità femminile, forse Feronia, era situato nei pressi della zona della necropoli, frequentato, tra il IV e il I secolo a.C., soprattutto da artigiani, che vi dedicavano gli strumenti di lavoro, spesso dopo avervi scritto sopra il proprio nome. \ Il ricco scarico votivo, scavato tra il 2006 e il 2008, ha restituito alcune terrecotte architettoniche relative ad un edificio eretto nel II secolo a.C., e pochi frammenti di lastre di un monumento databile probabilmente al secolo precedente. Notevoli sono le estese tracce di colore ancora presenti su questi reperti, come nel caso di una lastra decorata ad altorilievo con bighe in corsa guidate da eroti alati e con motivi vegetali. \ Le terrecotte votive, tra le più belle rinvenute a Praeneste, comprendono statue e teste, maschili e femminili, con tracce dell’originaria policromia; numerose sono le piccole statuine, tra le quali si distingue una statuetta femminile con tunica e mantello, di dimensioni maggiori e di fattura particolarmente accurata, che potrebbe rappresentare un “prototipo” per la produzione a matrice delle statuine fittili. \ Un tratto peculiare del deposito votivo è la presenza molto numerosa di oggetti e strumenti di lavoro in terracotta, osso, bronzo e ferro, che si connotano come offerte di artigiani e si trovano esposti nella sala XV nella sezione dedicata alla produzione artigianale e alle tecniche di lavorazione. panorama_D4FD869C_CA5F_7A69_41C1_C4B136DDE7DC.subtitle = Santuari e luoghi di culto
 \ Altri luoghi di culto a Praeneste sono stati rinvenuti in vari luoghi della città, come il tempio di Giunone Lucina, dea protettrice delle partorienti, sotto piazza della Liberazione. \ L’attribuzione del luogo di culto alla dea è stata possibile grazie allo studio dei materiali rinvenuti nella stipe votiva, in particolare una statuina bronzea di Giunone, insieme a due uteri votivi in terracotta e a chiavi rituali in ferro, note in contesti sacri legati alla fecondità poiché alludevano simbolicamente alla facilità del parto. \ Il deposito conservava anche statuette femminili in terracotta incurvate prima della cottura a simulare la posizione inginocchiata. L’iconografia, finora ignota, potrebbe riferirsi alle Ilizie – le dee del parto – o a Galantide, la mitica ancella che aiutò Alcmena a partorire Ercole e per questo fu punita da Giunone, che voleva impedire la nascita dell’eroe, figlio illegittimo di Giove. Galantide fu trasformata in donnola e le statuette ritrovate a Palestrina la ritrarrebbero nel momento di quella trasformazione. \ Fuori porta San Martino, nell’area dell’attuale chiesa di Santa Lucia, era il tempio di Cerere, la dea delle messi e della terra, legata anche al culto dei morti. Il santuario, attivo dalla tarda età arcaica, cessò di vivere dopo la strage di Silla dell’82 a.C., quando fu distrutto per far posto a case private. Nel sito si è rinvenuto anche un bóthros, un altare composto da una fossa scavata nel tufo in cui era alloggiato un grosso contenitore (píthos) privo di fondo, dalla cui imboccatura spuntava un tubulo. Il dispositivo serviva a far penetrare le offerte nel terreno, sia per onorare Cerere/Demetra – divinità assimilata alla terra stessa – sia per raggiungere simbolicamente gli inferi. \ Al tempio dovrebbe appartenere la lastra con processione di carri rinvenuta nell’area della chiesa e datata alla fine del VI sec. a.C. \ La chiesa di San Giovanni è situata ai margini dell’abitato, nella zona bassa, lungo la via Prenestina. \ Nell’area della chiesa vennero in luce alcune parti di un pregevole altorilievo con una serie di personaggi che facevano parte di una composizione a soggetto mitologico che decorava il frontone di un tempio, databili fra la fine del IV e l’inizio del III sec. a.C. panorama_D4FDA9FF_CA5F_09A7_41C5_B5D3B3D6E804.subtitle = Santuari e luoghi di culto
 \ Altri luoghi di culto a Praeneste sono stati rinvenuti in vari luoghi della città, come il tempio di Giunone Lucina, dea protettrice delle partorienti, sotto piazza della Liberazione. \ L’attribuzione del luogo di culto alla dea è stata possibile grazie allo studio dei materiali rinvenuti nella stipe votiva, in particolare una statuina bronzea di Giunone, insieme a due uteri votivi in terracotta e a chiavi rituali in ferro, note in contesti sacri legati alla fecondità poiché alludevano simbolicamente alla facilità del parto. \ Il deposito conservava anche statuette femminili in terracotta incurvate prima della cottura a simulare la posizione inginocchiata. L’iconografia, finora ignota, potrebbe riferirsi alle Ilizie – le dee del parto – o a Galantide, la mitica ancella che aiutò Alcmena a partorire Ercole e per questo fu punita da Giunone, che voleva impedire la nascita dell’eroe, figlio illegittimo di Giove. Galantide fu trasformata in donnola e le statuette ritrovate a Palestrina la ritrarrebbero nel momento di quella trasformazione. \ Fuori porta San Martino, nell’area dell’attuale chiesa di Santa Lucia, era il tempio di Cerere, la dea delle messi e della terra, legata anche al culto dei morti. Il santuario, attivo dalla tarda età arcaica, cessò di vivere dopo la strage di Silla dell’82 a.C., quando fu distrutto per far posto a case private. Nel sito si è rinvenuto anche un bóthros, un altare composto da una fossa scavata nel tufo in cui era alloggiato un grosso contenitore (píthos) privo di fondo, dalla cui imboccatura spuntava un tubulo. Il dispositivo serviva a far penetrare le offerte nel terreno, sia per onorare Cerere/Demetra – divinità assimilata alla terra stessa – sia per raggiungere simbolicamente gli inferi. \ Al tempio dovrebbe appartenere la lastra con processione di carri rinvenuta nell’area della chiesa e datata alla fine del VI sec. a.C. \ La chiesa di San Giovanni è situata ai margini dell’abitato, nella zona bassa, lungo la via Prenestina. \ Nell’area della chiesa vennero in luce alcune parti di un pregevole altorilievo con una serie di personaggi che facevano parte di una composizione a soggetto mitologico che decorava il frontone di un tempio, databili fra la fine del IV e l’inizio del III sec. a.C. ### Title panorama_C2DE2240_C9C5_7AD8_41A9_F60D9364E857.label = Atrio panorama_C5F318DA_C9C5_17E9_41C9_582A43BB539B.label = Palazzo Colonna-Barberini panorama_C2DFF32D_C9C4_FAAB_414F_D47441FCF69C.label = Sala I panorama_C2DE035A_C9C5_1AE8_41BD_09B93D487931.label = Sala II panorama_C2DE4182_C9C5_1659_41D8_FF985F53E16B.label = Sala III panorama_C2DFF276_C9C5_3AB8_41BA_C91D85F4D20E.label = Sala III panorama_D4FDEF64_CA5F_0AD9_41CF_83F1C22FDE21.label = Sala IX panorama_D4FDB84C_CA5F_16E9_41E1_73DC0EF5C80F.label = Sala IX panorama_D4FDFBB4_CA5F_09B9_41E4_6B59751C904A.label = Sala IX panorama_C2DE714F_C9C5_36E7_41E1_045F6787625F.label = Sala V panorama_C2DE0206_C9C5_1A59_41D2_E996928C90BA.label = Sala V panorama_C2DE029D_C9C5_1A6B_41E8_7C453027DFC1.label = Sala V panorama_C2DE247B_C9C5_FEAF_41B0_92C198EB5B91.label = Sala VII panorama_C2DE0718_C9C5_1A68_41C4_670C8CA2A6E2.label = Sala VII panorama_C2D819CA_C9C5_09E8_41E3_41EF58C117A4.label = Sala VIII panorama_D4FD246A_CA5F_FEA8_41B9_E3A7726F13D2.label = Sala X panorama_D4FD7069_CA5F_16AB_41AE_F6ED7B5D1D39.label = Sala XI panorama_D5216716_CA5C_FA79_41E0_F4C4E5D77EBB.label = Sala XII panorama_D4FAD38B_CA5F_1A68_41E7_6F1B9901E023.label = Sala XII panorama_D4FA507C_CA5F_36A9_41B8_A4D4E9B793D0.label = Sala XIII panorama_D4FD9C8D_CA5F_0E68_41DB_86647F189A67.label = Sala XIII panorama_D4FDA9FF_CA5F_09A7_41C5_B5D3B3D6E804.label = Sala XIV panorama_D4FD869C_CA5F_7A69_41C1_C4B136DDE7DC.label = Sala XIV panorama_D4FDD2F2_CA5F_1BB8_41DA_12F4DFB4A37A.label = Sala XV panorama_D4FD4C22_CA5F_0E59_41E4_941D3E5EE696.label = Sala XVI ## Skin ### Image Image_7B5115CF_6627_525E_41D1_AB17090B07EA.url = skin/Image_7B5115CF_6627_525E_41D1_AB17090B07EA_it.png ### Label Label_73B896E7_7D89_D577_41D5_4073DEA6C86E.text = Museo Archeologico Nazionale Prenestino - {{Title}} ### Multiline Text HTMLText_0D67E950_1290_6448_41AA_4E0FDBFBCD2A.html =



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## Tour ### Description ### Title tour.name = Museo Archeologico Nazionale Prenestino